venerdì 16 settembre 2011

Genitori a termine, cattivi genitori?!

Il caso della bambina di Torino tolta ai genitori anche per la loro età mi ha fatto pensare.

Certo si tratta di un caso particolare che va al di là di questo riassunto semplicistico (tutto è cominciato con un episodio effettivamente sospetto), tuttavia mi fa pensare.

Lo stato dovrebbe togliere i figli a una coppia in cui entrambi i genitori hanno pesanti parentalità di tumore? Dovrebbe intervenire se genitori con segni di malattie degenerative non rinunciano autonomamente ai propri figli?

Insomma, è giusto attribuire una qualità di relazione sulla base della sua probabile brevità? Alla fine fine, tolte le lunghe ore di lavoro, quanti di noi potrebbero dire di passare più di qualche breve anno con i nostri figli?

martedì 6 settembre 2011

Cliché

Il piccolo lord ha imparato a battere le mani.

E io come una scema mi commuovo.

Tipico.

lunedì 5 settembre 2011

Gli ospedali migliori sono i peggiori

Insomma, adesso che sono riapparsa vorrete poi sapere com'è andata, la Grande Spinta. Vorrete tutti i dettagli sanguinolenti che piacciono a noi donne, e la geometria esatta dell'episiotomia, come si conviene.

Perché si sà che il parto è il pene delle donne, non ci stanchiamo mai di misurarcelo e confrontarcelo. La cosa strana da capire per gli uomini è che tra noi può vincere sia chi ce l'ha più lungo sia chi ce l'ha più corto. Sotto le 24 ore vince chi ce l'ha fatta in meno tempo (il famoso miraggio del "due spinte e via!"), sopra le 24 ore il parto invece è come un pesce: più lungo è, più è degno di gloria. Semplice, no?!

Comunque, per il parto avevo un po' di ospedali tra cui scegliere. Escluso il più ovvio (500 metri dalla porta di casa) per motivi vari, ho scelto uno dei migliori per fama, personale (ci lavora anche il mitico dottor M. anche se in altro reparto) e record. E la scelta è stata così consapevole che forse non mi sarei dovuta trovare così impreparata all'esperienza.

È naturale infatti che gli ospedali migliori (o con la fama migliore) siano quelli più affollati.

Poi siamo in Italia, dove la logica perversa vuole che se sei un ente sottodimensionato ma performi in maniera eccellente è giusto che tu non ottenga fondi. Voglio dire: ottieni ottimi risultati coi quattro soldi e i quattro muri screpolati che ti diamo, perché dovresti avere diritto a un nuovo reparto e personale aggiuntivo?!

Così sono stata ricoverata a termine e per induzione causa ipertensione gravidica (non grave, và detto) alle 11:30 di mercoledì 2 febbraio.

La visita di controllo a termine è stata di per sé una barzelletta. Scopro che ai controlli precedenti e alla prenotazione non mi hanno informato degli esami necessari per il ricovero. Il medico di turno comincia a inveire col dottor M., reo anche di avermi curato in maniera inadeguata la trombofilia.* Ormai esperta in materia, lo informo che trattasi di trombofilia lieve, mutazione di un fattore insignificante (per citare l'ematologo di fama internazionale: "non vada a dire in giro che è trombofiliaca, con quello che ha lei sarebbe una inutile vanteria". Sì, i medici simpatici li incontro tutti io) per il quale il mix cardioaspirina e folina è più che sufficiente. Lui mi ignora, borbotta, comincia con l'ecografia... e scopre che il piccolo lord è enorme. "Ah, be', allora forse la cura era adeguata". Forse.

Di fronte allo spauracchio della trombofilia e in virtù di una pressione in crescita decide per il ricovero. Gli allungo la mia cartella clinica completa di ogni dato (anche il numero di scarpe, tra un po') e lui mi inserisce nel terminale. Con il profilo di un'omonima più vecchia di 10 anni e residente in un paese limitrofo. Ci ho poi messo tutti i tre giorni fino al parto per risolvere questo errore burocratico. Errore di cui ovviamente sono stata ritenuta responsabile da tutti.

Alle 16:30 dello stesso giorno ricevo finalmente il mio letto. Alle 19:00 mi cominciano l'induzione tramite una prima dose di gel di prostaglandine (dopo la mia segnalazione che alla prima gravidanza il Propes non aveva avuto esito positivo). Passo la notte sola, visto che di travaglio non c'è l'ombra, nonostante la seconda dose di gel alle 2 del mattino. Gli orari che ho vinto coincidono esattamente con i cambi-turno, quindi ogni dose è somministrata da un medico diverso e accompagnata da un riassunto della mia intera vicenda clinica. In genere il medico del caso non concorda con alcuna delle scelte fatte dal dottor M. e chiede a me perché io sia stata curata così. Più tardi mi rinfacceranno anche di avere rifiutato il Propes.

Alla mattina del 3 febbraio mi sospendono l'induzione causa sovraffollamento delle sale parto.

Passo la giornata da sola a camminare per il reparto con contrazioni altalenanti, al massimo intorno ai 60%. Verso sera le contrazioni sono quasi completamente scomparse.

Alle 19:30 si ricomincia con una terza dose di gel. Nessun risultato. Mi faccio una nuova notte da sola nello sconforto di un travaglio totalmente inefficace e senza apparente soluzione di continuità.

Verso mattina una nuova dose porta l'illusoria speranza di contrazioni regolari e di intensità crescente (fino a 80-90%) che mi accompagnano anche tutto venerdì mattina (sempre sola, i giorni di ferie del marito, che per un contratto bislacco non ha diritto a congedo per parto, sono preziosi). Approfitto dei dolori per fare la fila in almeno due sportelli dell'atrio cercando di risolvere la questione dell'omonimia. In effetti vedermi stravolta, enorme, col fiato corto e la vestaglia sotto al cappotto tende a sveltire gli impiegati. Viceversa non impedisce alle vecchie di lamentarsi perché non le faccio passare avanti nella fila.

Venerdì sera siamo di nuovo punto e a capo, e non possiamo più somministrare prostaglandine. Quindi partiamo con l'ossitocina. Con mio sconforto non sento nulla. Qualche contrazione, ok. Ma quasi indolore. Mi assopisco sulla sedia, per dire. Verso le 22:30 mi visitano per cercare di rompere le acque e il piccolo và in sofferenza: c'è che ha la testa girata di 3/4 al canale del parto. Filiamo dritti in sala operatoria e in 30 minuti siamo di ritorno in sala parto belli, rosei e sereni. Una figata. Lui è forte dei suoi 4 kg e rotti per 54 cm, io dell'eroica gestione della spinale (che mi terrorizzava) e dell'insperata mobilità che già dimostro.

Non so, quelle che dicono che il cesareo è un trauma le capisco quasi meno di quelle che si lamentano per trent'anni dei dolori del parto.

La prima notte con il piccolo in stanza dura 5 minuti. Non ho sensibilità alle gambe e sono al secondo figlio, quindi col cazzo che mi faccio ricattare dalle infermiere del nido: al primo vagito del creaturo suono perché lo vengano a prendere e se lo portino in nursery, poi mi godo 4 intere ore di sonno. Le prime continuative da 3 giorni.

La seconda notte riconosco il pianto di milord per quello che è: fame. Sciabatto fino alla nursery dove scopro un insospettato paradiso di buon senso e tanti bei biberon pieni di latte. Dio benedica le nursery con pediatri eterodossi e intelligenti che al colloquio per le dimissioni dicono frasi come "potete scegliere liberamente come allattare. Qualsiasi scelta sarà quella giusta, perché l'avete fatta voi per il benessere vostro e di vostro figlio".

Lunedì nel mezzogiorno ci dimettono. Ufficialmente in terza giornata. Vi risparmio le gag con le ostetriche sulle evacuazioni prima delle dimissioni. O l'impossibile pianificazione che prevede che la puerpera sia contemporaneamente alla visita al nido, alla visita di dimissioni, all'anagrafe a registrare la nascita, al telefono con il pediatra per prenotare la prima visita, seduta sulla tazza a vuotare l'intestino. La realtà è che vieni dimessa a 60 ore da un taglio cesareo (e 50 ore da quando hai riassunto la sensibilità e il controllo delle gambe) e ci si aspetta che tu sia agile come una gazzella.

Arrivata a casa prendo in mano uno di quei manuali di maternità americani e leggo: "dopo un cesareo la mamma ha bisogno di assoluto riposo per almeno una settimana, nella quale non deve fare alcuno sforzo, neanche sollevare il bambino".

Mi siedo in poltrona e verso le canoniche lacrime di sfinimento. È fatta. Adesso comincia la partita.

* La mia prima gravidanza è finita con un inizio di gestosi, pressione 160 su 90 e bambina che aveva smesso di crescere in utero. Il dottor M. ha diagnosticato che la causa potenziale potesse essere un trombo in placenta, creatosi anche grazie a una trombofilia genetica.

venerdì 2 settembre 2011

Anti-mamma alla riunione del nido

Il luogo: un'eccellente struttura nido comunale in Emilia.
L'occasione: la riunione di inizio anno per i lattanti.
Il tema: gestione inserimento, forniture (pannolini ecc) e pasti.

L'anti-mamma: "Noi usiamo i pannolini lavabili..." *educatrici annuiscono entusiasticamente* "per i quali ho un sacchetto in nylon chiudibile con la cerniera che ritiro ogni sera coi pannolini sporchi. Potete usarlo anche per i vestiti sporchi del bimbo"
L'educatrice *fronte corrucciata*: "Non credo, per motivi igienici potrebbe essere un problema. Sai, nel caso abbia fatto la cacca... non vorrai che venga a contatto coi vestiti."
L'anti-mamma: "Veramente per me è uguale, tanto alla sera butto tutto nella stessa lavatrice".
Nella sala cala il silenzio e una quindicina di paia d'occhi sgranati si puntano sull'anti-mamma, la cui credibilità è passata in pochi secondi da 'buona ed ecologica' a 'scarsa e anti-igienica'.

La riunione prosegue, i genitori devono comunicare la marca del latte artificiale eventualmente usato dal lattante perché l'asilo possa ordinarlo alla farmacia.
L'anti-mamma: "E per chi usa il latte Coop?"
L'educatrice *spiazzata*: "In che senso?"
L'anti-mamma: "Eh, noi usiamo il latte in polvere a marchio Coop."
Nella sala ripiomba il silenzio, i soliti occhi sgranati fissano l'anti-mamma, la cui credibilità è ormai ufficialmente 'nulla e indegna della patria potestà'.

L'anti-mamma ha colpito ancora!

Ah, ovviamente nel frattempo è nato Agenore, che il 7 settembre comincia l'inserimento all'asilo nido.